"Rallenta la crescita in Italia". È il campanello d'allarme suonato dal centro studi di Confindustria che ha limato le previsioni del Pil sia per il 2024 che per il 2025 e che, con il rapporto di autunno sulle previsioni economiche, ha messo a fuoco cinque "nodi della competitività": diversi fattori che "nei prossimi anni mettono a rischio la crescita del Paese".
La previsione degli economisti di via dell'Astronomia è di una crescita del Pil che si ferma al +0,8% quest'anno ed al +0,9% il prossimo. Pesa, tra l'altro, il fine corsa degli investimenti dopo la robusta crescita dal 2021 al 2023: si fermano quest'anno al +0,5%, e sono visti in calo dell'1,3% nel 2025. E pesa l'edilizia per lo stop agli ecobonus, con una parziale compensazione dal Pnrr.
Dal rapporto emerge "una grande complessità globale" e "con grande evidenza una perdita di competitività dell'Unione Europea", rileva la vicepresidente di Confindustria che ha la delega per il centro studi, Lucia Aleotti, che, tra i vari temi toccati in un ragionamento più ampio, sottolinea anche la sfida del Pnrr "straordinariamente importante per il Paese" e avverte: "Dobbiamo anche cominciare a pensare al post Pnrr". E c'è il tema del green deal e del suo impatto sull'industria, a partire dalla forte crisi dell'automotive: un "punto cruciale" è "il dovere di ribadire con forza che le politiche europee non possono ignorare le conseguenze che generano sulle imprese" che "vogliono essere sempre più sostenibili", sono pronte a sostenere le sfide green ma - sottolinea ancora Aleotti - "si può camminare in questo percorso senza dover desertificare industrialmente il nostro continente, senza creare disoccupazione, senza rinunciare ai nostri standard sociali".
Lo scenario dettagliato a 360 gradi dal centro studi degli industriali, diretto da Alessandro Fontana, ha quindi approfondito impatto e possibili correttivi per cinque fattori di rischio per la crescita del Paese. Il primo è la carenza di lavoratori, che già oggi è un problema": nel quinquennio 2024-2028 - stima il Csc - il disallineamento con la domanda di lavoro delle imprese salirà ad una quota pari a 1,3 milioni di lavoratori. Considerando gli ingressi già previsti dal decreto flussi "il mismatch potrebbe essere colmato ampliando gli ingressi di lavoratori stranieri di circa 120mila l'anno".
Poi i "costi di alloggio troppo elevati rispetto a produttività e quindi salari": è un freno alla mobilità dei lavoratori, nasce da qui il pressing per il 'piano casa' che il presidente degli industriali Emanuele Orsini ha messo tra le priorità della sua agenda. A frenare la competitività anche "i prezzi del gas e dell'elettricità che sono ancora più alti in Italia, sia rispetto agli altri grandi Paesi europei come Francia e Germania, sia rispetto agli Stati Uniti". Sotto esame anche le dinamiche del crollo del settore auto ed i costi delle emissioni di CO2 tra il "sempre più stringente sistema Ets parallelamente all'operatività del Cbam", il 'meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere'.
Si ferma la corsa agli investimenti -1,3%
Gli investimenti "si fermano quest'anno (+0,5%) e scenderanno l'anno prossimo (-1,3%)": uno stop dopo "la robusta crescita degli anni scorsi (+21,5% nel 2021, +7,5% nel 2022 e +8,5% nel 2023)": è tra i dati dello scenario che il centro studi di Confindustria traccia con il rapporto di autunno sulle previsioni economiche Gli investimenti, "nella prima metà del 2024 hanno frenato a causa dell'azzeramento del contributo di quelli in abitazioni, ma ha inciso anche il contributo negativo di quelli in impianti e macchinari. Nella seconda parte dell'anno la dinamica è attesa diventare negativa per la caduta dell'edilizia residenziale, che si acuirà nel 2025 quando anche gli altri incentivi edilizi saranno scaduti o torneranno alle aliquote ordinarie, e nonostante l'impatto positivo del taglio dei tassi di interesse". Per gli investimenti in abitazioni un calo del 15% riporterà nel 2025 il livello "a metà tra quelli del 2021 e del 2022, corrispondente ai valori del 2008". Gli economisti di via dell'Astronomia rilevano che "agiranno a parziale compensazione le spese connesse all'implementazione del Pnrr, che rafforzeranno gli investimenti in fabbricati non residenziali, e la ripresa degli investimenti in impianti e macchinari, già dalla seconda parte del 2024, che riguarderà gli investimenti ritardati dall'attesa di Transizione 5.0, misura che presenta alcune difficoltà applicative", come "la dimostrazione del risparmio energetico, la non chiara definizione delle regole di cumulo con altre misure finanziate da risorse europee e l'esclusione dall'incentivo di una parte del sistema produttivo in ottemperanza al principio del Do No Significant Harm". Su tutte le componenti degli investimenti "agiranno positivamente sia il taglio dei tassi di interesse che le migliori prospettive economiche".
'Spesa Pnrr 2024 circa metà del programmato'
Per il Pnrr, tra spese sostenute e spese pianificate "rispetto alla previsione governativa" quella del Centro studi di Confindustria "sconta gli effetti di un parziale utilizzo delle risorse" rispetto a quanto programmato: "Circa la metà nel 2024 e due terzi nel 2025". "I dati di metà ottobre della piattaforma di monitoraggio e rendicontazione ReGiS - rilevano gli economisti di via dell'Astronomia, nel rapporto di autunno sulle previsioni economiche - indicavano una spesa sostenuta finora pari a 9,5 miliardi, ben inferiore a quella pianificata nel 2024, cioè 42,2 miliardi. Se da un lato è ragionevole ipotizzare che verso fine anno ci sarà un cospicuo aumento di spesa, per via di un ritardo fisiologico nel caricare i dati sulla piattaforma da parte dei soggetti attuatori e per via di una rendicontazione delle spese 'a stato avanzamento lavori', dall'altro è ormai probabile che ci siano dei ritardi nella messa a terra di alcuni progetti e che quindi ci sia un minor tiraggio per alcune misure". Ed in particolare "circa 21 miliardi in meno nel 2024 e 19 nel 2025". Il centro studi dell'associazione degli industriali si sofferma su questo punto nell'analisi dedicata alla finanzia pubblica.
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